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Quarta Tappa dei Nostri itinerari fotografici Sul Gargano! Trabucco San Nicola
Con entusiamo e gioia oggi mi ritrovo a parlarvi di uno dei posti a cui sono particolarmente legato, vuoi la sua bellezza e storia vuoi la bontà del cibo, mi sento a casa e come in una grande casa i proprietari vi accoglieranno…..
Una casa che ha come tetto il cielo e pavimento il mare….
Trabucco a San Nicola….
I trabucchi della famiglia Ottaviano
Dalle ricerche dello storico abruzzese Pietro Cupido
Secondo le ricerche dello storico, il primo Ottaviano alle prese con un trabucco è stato Giovanni Battista, alias “battistone”, nominato supervisore di un Trabucco a Lesina nel 1925, non più esistente.
Battista si trovava a Lesina per il commercio dei tini e dei mastelli che fabbricava nella sua bottega di falegnameria a Peschici.
Nel 1927 egli con il figlio completano il trabucco sotto la torre di Monte Pucci, andato poi in rovina e ne costruiscono uno per conto proprio a Rodi Garganico l’anno successivo, dopo aver imparato molto a Lesina, per precedere il pescosissimo trabucco di Monte Pucci.
Nel 1936 Battistone smonta il trabucco perché i fondali, dopo la costruzione della galleria diventano troppo bassi per il pescaggio.
I legnami vengono trasportati via mare e punta Sfinale dove il figlio di Battista, Carlo Antonio costruisce sulla costa di levante un trabucco pescosissimo.
Ma da Sfinale, Peschici, per i 12 figli di Carlo, è troppo lontana, ed il trabucco, nel 1946 viene permutato con quello dello Scalandrone (sotto la rupe di Peschici).
Nel 1960 una mareggiata distrugge il trabucco e non viene ricostruito.
Anni prima, nel 1930, viene commissionato a Battista e figlio la costruzione del trabucco di punta Gusmai, il proprietario per risorse finanziarie cede una parte del trabucco ad Ottaviano che poi la vende a Michele Rauzino.
Nel 1931 un certo Elia Biscotti, associato con Domenico Martella e Alessandro Ranieri progettano la costruzione di un trabucco a punta San Nicola, il costruttore e sempre lo stesso, Battista.
Alla morte di Ottaviano e di Martella, il figlio dell’ultimo vende la quota al primo, Carlo. Nel 1940 la notte di San Silvestro il trabucco viene distrutto da una violenta mareggiata per poi essere ricostruito dal figlio di Carlo, Domenico, che dopo aver fatto fortuna in Canada al ridosso del trabucco avvia nel 1975 il ristorante.
Il termine trabucco è di origine incerta.
Si presume provenga da “trabocchetto”, per lo scopo dello stesso, ovvero di intrappolare il pesce. Secondo alcuni storici pugliesi, il trabucco sarebbe un’invenzione importata nella regione dai fenici. La più antica data di esistenza (documentata) risale al XVII sec. periodo in cui i pescatori del Gargano, allora scarsamente popolato, dovettero ingegnarsi per ideare una tecnica di pesca che non fosse soggetta alle condizioni meteo-marine della zona.
La tecnica di pesca è a vista. Consiste nell’intercettare, con le grandi reti a trama fitta, i flussi di pesci che si spostano lungo gli anfratti della costa. I trabucchi sono posizionati là dove il mare presenta fondali sabbiosi e una profondità adeguata (almeno 5m), ed eretti a ridosso di punte rocciose orientate in genere verso SE o NO, in modo da poter sfruttare favorevolmente le correnti. La rete viene calata in acqua grazie ad un complesso sistema di argani e, allo stesso modo, prontamente tirata su per recuperare il pescato.
Il durissimo compito di azionare gli argani preposti alla manovra della gigantesca rete è affidato ad almeno 2 uomini detti “trabucchisti”.Sul trabucco si pesca tutto l’anno, in abbondanza pesce azzurro, seppie (in primavera ed autunno) e cefali, la vera preda di questo imponente veliero ancorato agli scogli.
Il sole dal Trabucco……
I primi trabucchi a Peschici arrivano nel 1926 e ovviamente ce li portano loro, con la collaborazione di Matteo Fasanella, che commerciavano scapece (pesce fritto e sotto sale) con gli stessi abruzzesi. In quegli anni i Battistoni edificarono e spostarono almeno due terzi dei trabucchi di Peschici: a Montepucci, uno a Rodi Garganico – per battere sul tempo e intrappolare prima i branchi di cefali provenienti dai laghi – allo Scandrone, alla Grotta delle Travi, a Sfinale, e a San Nicola, l’unico ancora in mano alla famiglia, ma anche fuori dal Promontorio: a Molfetta e finanche in Liguria e a Livorno.
Potremmo paragonare la sua storia a quella del Vecchio e il Mare di Hemingway; lui è un pescatore; non ha lottato con un pescecane ma lo ha fatto sempre nella vita, arrivando a scavare nelle miniere del glorioso Canada che dava lavoro a tanti migranti della povera Italia degli anni ‘50. Oggi, Domenico Ottaviano, in arte Mimì, con il soprannome del nonno Battistone (si chiamava Battista, era grande e grosso) continua, come quando era un giovanotto, ad arrampicarsi su per le antenne del suo trabucco, per scrutare le limpide acque sottostanti e intrappolare l’ennesimo branco di cefali.
La prima volta ci salì a sei anni. Non di sua volontà. Fu costretto ad imparare presto il mestiere perché dodici bocche, la sua e quella degli altri undici fratelli e sorelle, dovevano essere sfamate.
Il trabucco era di Carlo, suo padre, ed uno dei pescatori che lavorava sotto il suo occhio vigile, lo prese, se lo mise in spalla e lo portò sul pennone più alto. Poi lo lasciò là, e gli disse di scendere se ne era capace. Ne fu capace. Da allora non smetterà mai di andarci.
Vi lascio Come sempre con Il Gargano nel Cuore….
Giuseppe Romondia
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